Questo testo, inviato al direttore della Gazzetta di Parma per "interloquire" circa il contenuto della lettera pubblicata il 24 dicembre dal titolo "Il carcere non è un albergo", è apparso il 31/12/2011 nella rubrica "Lettere al Direttore" .
Egr. Direttore, non vorrei fomentare un’inutile polemica, ma sono stato “pro-vocato” a qualche riflessione, dopo la lettura della lettera ( “Il carcere non è un albergo”) apparsa il 24 c.m. sulla Sua rubrica.
Non so se chi scrive sia un uomo o una donna poiché dal testo non si evince con chiarezza. Non lo faccio notare perché questo possa costituire una qualche differenza, ma perché mi sarebbe più chiaro a chi rivolgermi. Per gentilezza mi riferirò ad una donna.
Gent.ma Sig.ra,
ho letto con attenzione la Sua. Prendo atto dei Suoi suggerimenti e non voglio intristire la “nostra conversazione a distanza” di distinguo e precisazioni formali. Prima di rivolgerLe direttamente alcune parole,Le premetto che faccio fatica a generalizzare le situazioni e “i gruppi” anche etnici: potremmo prendere ad esempio il rifiuto della Sig.ra Reggiani (la moglie del Sig. Gucci) che non ha accettato il lavoro esterno, beneficio previsto dall’attuale legislazione e scrivere che tutti i detenuti rifiutano il lavoro (art.21).
Sono circa due anni che mi reco in carcere come volontario ed ho incontrato, a mia memoria ( e i loro volti lo sono), persone che, p e r s o n a l m e n t e, hanno commesso tutti i delitti da Lei citati.
Credo, oggi più di quando ho iniziato, che la domanda vera ( questo è il mio punto di vista) non sia sui particolari anche un po’ ideologici che Lei descrive, ma circa la possibilità di uno Stato, di una legislazione, di un’Amministrazione e, mi permetta, ancora di più della società (che si esprime in tutte le sue ricchezze “sussidiarie”) di poter comunicare la propria passione per la rieducazione e il reinserimento delle persone che sono o sono state in carcere per reati commessi. Posso andare in profondità? C’è la possibilità per ciascuno di noi di cambiare?
Senza scomodare la concezione delle carceri islamiche, le testimonianze di tutte le dittature , sono state fulgidi esempi di uomini trattati come bestie. Le assicuro che anche in queste situazioni (ci sono centinaia di testimonianze) alcuni uomini, non hanno perso i desideri veri del loro cuore e, ascoltandoli, sono ripartiti da lì per tornare a sentirsi creature.
I problemi ci sono, Non vanno nascosti. Le lamentele non servono a nulla e come ricorda la nostra storia di 150 anni di Unità, ciò che accade è una provocazione al nostro cambiamento.
Vorrei suggerirLe due gesti.
Il primo è leggere ( lo potrà fare anche andando sul sito sotto indicato) il discorso che il Santo Padre ha pronunciato a Rebibbia il 18 dicembre. Non si aspetti una fede pietistica o un approccio ideologico. Troverà un affronto della realtà secondo la ragione. Quella che spalanca il cuore di ciascuno davanti alla realtà. Ragione e realtà (possiamo prescindere da questi due fattori?).
Il secondo è di venire con me, con noi in carcere. Per fissare i volti di chi si incontra. Forse scoprirà che l’andare in carcere è per se stessi e “i delinquenti” sono incontri positivi per imparare la carità.
Sarei veramente lieto di incontrarLa. Buon Natale.
Giuseppe (www.pellegrinothorvald.com)
Parma, 26.12.11
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